martedì 17 dicembre 2013

La ricerca è davvero indipendente?

Il 15 Dicembre 2013 uno dei giornali online più importanti o quantomeno quello alle cui spalle c'è il più grande investimento (a nostra opinione), ossia l' "Olive Oil Times" (OOT), ha pubblicato un articolo in cui sono riportate le osservazioni, piuttosto pesanti,  del presidente della North American Olive Oil Association (NAOOA, vale a dire l'associazione degli importatori di olio d'oliva negli USA) -  Eryn A. Balch - in merito ad un'analisi del mercato oleicolo pubblicata dalla U.S. International Trade Commission (USITC), un importante organo governativo degli Stati Uniti (qui potete leggere l'articolo - solo in inglese). Se ciò che l' "Olive Oil Times" riporta è corretto, uno in particolare tra tutti i commenti del presidente della NAOOA ci ha colpiti più degli altri: (traducendo dall'inglese) "Il report della USITC cita vari studi pubblicati dal University of California at Davis Olive Center a supporto di quanto riportato, sebbene l' Olive Center sia, scrive Balch, “un agente commerciale dell'olio californiano con il chiaro interesse a promuovere l'olio prodotto negli Stati Uniti.”
Quindi, secondo questa opinione lo University of California at Davis Olive Center è un "marketing agent".  Parliamo di un centro di ricerca che porta nel suo nome quello di una delle più prestigiose università a livello internazionale: quanti ricercatori in altre università sparse per il mondo lavorano duro e con serietà senza ricevere la stessa "eco" per i loro risultati?
Vi ricordiamo che  lo University of California at Davis Olive Center è lo stesso che mesi or sono ha pubblicato uno studio che metteva in dubbio alcuni dei metodi più diffusi al mondo per la definizione e la validazione degli standard qualitativi dell'olio d'oliva. Lo stesso Balch lo ricorda ("Advocates PPP and DAGs tests despite “serious flaws”. The importers’ group said the USITC report is too quick to embrace the chemical tests known as PPP and DAGs that domestic groups are pushing as better methods for determining olive oil quality. Balch said the tests were unreliable and favored olive varieties widely used in domestic production"). Ora, guardando in fondo all'home page dello University of California at Davis Olive Center compare il logo del Robert Mondavi Institute

Ci sembra quindi che da quanto lamentato dalla NAOOA una domanda sorge spontanea: possiamo fidarci?

Grazie.

lunedì 2 dicembre 2013

Riportiamo di seguito un link ad un articolo pubblicato su Teatro Naturale alla firma di Alberto Grimelli inerente una parte - rilevante - de quadro politico (in senso stretto) e strategico che governa il settore oleicolo mondiale (LEGGI L'ARTICOLO).
Si tratta di una riflessione sulle ultime decisioni prese in materia di finanziamento UE per le attività promozionali del COI e sulla futura ed imminente rimodulazione delle cariche interne al Consiglio Oleicolo Internazionale stesso. Riteniamo che, sebbene non direttamente correlato all'olivicoltura sostenibile, l'articolo contenga delle informazioni e delle riflessioni importanti.
Abbiamo infatti l'impressione che il crescente volume di affari mosso dal settore  stia provocando una rimodulazione degli equilibri economici - si pensi alla macchina statunitense di cui alcuni media ne sono lo specchio. E' utile esserne consci e informati nonostante la scarsa capacità di incidervi singolarmente.
A presto e buona lettura, l'Osservatorio.

giovedì 7 novembre 2013

Gli acquisti di Olio d'Oliva nel mercato statunitense

Negli Stati Uniti la crescita economica nel 2013 sembra irrubustirsi, grazie sopratutto ai potenti stimoli monetari provenienti dalla FED. Le politiche monetarie attuate dalla Banca Centrale se da una parte hanno inondato di liquidità i mercati dell'America settentrionale sostenendone i consumi, dall'altra, hanno fatto sì che il dollaro si mantenesse piuttosto debole nei confronti delle altre valute, in primis nei confronti dell'euro (svalutatosi di oltre il 10% nel corso dell'ultimo anno), creando non pochi problemi ai nostri esportatori e ai loro margini di guadagno.
Ciò nonostante i dati sugli acquisti di olio d'oliva italiano negli Stati Uniti sembrerebbero non essere propriamente infausti. 
Di fatti, in un mercato che nei primi sei mesi del 2013 ha incrementato i suoi acquisti dall'estero di olio d'oliva del 15%, se si va ad osservare la dinamica dei primi 7 fornitori di olio d'oliva (pari al 97% del totale degli acquisti), si evincono interessanti novità. 
Gli esportatori italiani, detentori di oltre la metà del mercato statunitense, hanno incrementato le loro vendite di circa il 10%, perdendo sì quote di mercato ma reggendo meglio del suo principale competitor europeo (la Spagna -38%) l'apprezzamento dell'euro e mostrandosi capaci di reggere tale impatto negativo. Fra i paesi dell'eurozona solo gli esportatori greci sono riusciti a far meglio, aumentando le loro vendite del 67%, probabilmente iniziando a "beneficiare" della politica di austerità che ha visto ridurre i loro costi interni. 
Fonte: nostre elaborazioni su dati provenienti dall'ICE





Al solito, particolare preoccupazione i nostri esportatori sembrano mostrarla verso i concorrenti dell'Africa Settentrionale (Marocco, Tunisia ed anche la Turchia) che continuano ad incrementare le loro quote di mercato.
Ma il quesito da porsi è: sono realmente i prodotti provenienti da quei paesi da considerarsi come nostri concorrenti? 
Oppure la qualità dei nostri prodotti è tale, oltre ad essere così auspicabile, che non dobbiamo aver paura di chiamare in altro modo il nostro prodotto? Il mercato statunitense sembra proprio dirci questo: vendere meglio, vendere prodotti migliori, vendere anche ad un prezzo più alto....perchè i consumatori di quel paese sapranno comprendere e sapranno premiarci!
Olio extravergine di oliva italiano, il prodotto di qualità!


lunedì 21 ottobre 2013

Ancora un passo verso la Responsabilità Sociale di Impresa

La responsabilità sociale di impresa (RSI), o Corporate Social Responsability (CSR), è un insieme di pratiche ed attività aziendali la cui inclusione nella normale gestione rende il profilo etico dell'azienda migliore, più alto. Questo si traduce, in pratica, in una o più certificazioni che dovrebbero consentire alle aziende un riconoscimento sul mercato.
Tralasciando solo per il momento ogni valutazione sull'opportunità di sostenere gli oneri di una certificazione, ci preme oggi richiamare l'attenzione delle aziende che ci seguono su questo tema.
Questo perché 13 regioni italiane, su un'iniziativa della regione Liguria e Veneto partita nel 2012, hanno lavorato ad un progetto interregionale denominato "Creazione di una rete per la diffusione della responsabilità sociale d'impresa" alla quale hanno aderito anche Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociale, Ministero dello Sviluppo Economico ed INAIL. Parallelamente è stato redatto un "Piano d'Azione Nazionale sulla responsabilità sociale d'impresa 2012-2014". Questi sforzi sono i benvenuti sia perché riteniamo sia utile offrire alle aziende che vogliano intraprendere un percorso di RSI l'opportunità di poter lavorare in un contesto normato e organizzato, sia perché è necessario essere al passo con le iniziative UE in materia (per es. comunicazione 681 del 2011 "A renewed EU strategy 2011-2014 for Corporate Social Responsability") non ultima la strategia EUROPA 2020.

Perché dunque ne parliamo qui e adesso? Perché il Piano ha già definito degli obiettivi, delle strategie ma soprattutto perché c'é già una bozza consolidata degli indicatori di RSI da utilizzare per misurare il livello di RSI aziendale, e parte di questi indicatori sono specifici per le aziende agricole.

Li abbiamo visti, valutati e vorremmo estendere la valutazione ai nostri lettori. E' importante, ora.

Seguiteci.

L'Osservatorio.

martedì 2 aprile 2013

Olio d’Oliva Italiano: Next Stop ASIA



La gelata dei consumi che ha colpito l’Italia nel 2012, e che coinvolgerà gran parte dell’Europa nel 2013, sembra oramai aver definitivamente orientato il settore olivicolo italiano alla ricerca di nuovi consumatori, in un’ottica capace di mixare qualità e sostenibilità (anche dei costi).

I dati sulle esportazioni e sulle importazioni di olio d’oliva extravergine italiano nel 2012 evidenziano abbastanza nitidamente l’esistenza di un’ottica duale sul mercato olivicolo.
Da una parte, la contrazione dei redditi in Italia ha favorito sul mercato domestico l’ingresso di olio forse qualitativamente poco “attraente” ma dal costo indiscutibilmente molto competitivo: complessivamente i produttori dell’Africa Settentrionale hanno incrementato del 51% le loro vendite in Italia. Dall’altra, i produttori italiani sembrano aver definitivamente compreso la necessità di ricercare i consumatori dai gusti più “raffinati” o dalle maggiori possibilità economiche, non più solo nei ricchi mercati europei (Germania + 7%) e Nord Americani (+6% negli USA) ma soprattutto nei mercati lontani ed un tempo sconosciuti, oggi noti ai più come mercati emergenti. 

Nel 2012 la qualità dell’olio d’oliva italiano sembrerebbe aver fatto breccia in particolare nei mercati asiatici. In Asia Orientale e in quella Centrale il 2012 ha visto realizzarsi un incremento delle quantità vendute di ben oltre 16 punti percentuali rispetto al già entusiasmante 2011. In particolare si segnala la straordinaria performance degli esportatori italiani nel mercato nipponico (+23%) ed in quello cinese (+20%). 



Qui sotto una tabella riepilogativa con tutti i numeri per alcuni dei principali paesi (per ulteriori informazioni si vedano anche sempre su questo blog gli articoli: “Riecco le luci del mercato Giapponese” e Rallentamento delladomanda mondiale? Dipende dal dove.)

 


mercoledì 6 marzo 2013

Nuovi dazi sulle importazioni indiane di oli vegetali


La notizia é stata pubblicata 40 minuti fa su bloomberg.com - o almeno lì l'abbiamo letta - sito di news e approfondimento a carattere economico: il governo indiano aumenterà, almeno del doppio, i dazi sulle importazioni di oli vegetali.

La notizia é davvero importante, non solo per coloro che esportano grandi quantità dei grassi vegetali comunemente più utilizzati dalla popolazione indiana per ill consumo umano e non, quali olio di palma, soia, di mais, etc., ma anche per chi in questo mercato ha iniziato - o ha intenzione - ad aprire la strada alle esportazioni di olio di oliva. Sono queste, e soprattutto quelle di olio extravergine  e di qualità, che a nostro giudizio risentiranno di più di quest'aumento dei dazi.

Dentro la notizia.

L'India, il più grande consumatore di oli da cucina (cooking oils) al mondo dopo la Cina, aumenterà l'imposizione di dazi all'importazione di almeno il doppio entro l'anno per proteggere la produzione interna, secondo le parole di Dorab Mistry, direttore della Godrej International Ltd, riportate alle 11.08 del 6 marzo 2013 da Ranjeetha Pakiam e Luzi Ann Javie su Bloomberg.

I dazi su gli oli non raffinati passeranno probabilmente dal 2,5% al 10% (+7,5 punti percentuali) entro Aprile o al più Maggio 2013, per poi arrivare a circa il 20% (+17,5%) entro Agosto-Settembre, ha riportato Mistry, che lo scorso Novembre preannunciò l'introduzione delle tariffe. I dazi sugli oli raffinati passeranno, con lo stesso passo, dal 7,5% al 17,5% e poi al 27,5 (+20%) .

In effetti, le importazioni di olio di palma e di soia avevano raggiunto un livello record a Gennaio con le scorte domestiche a quasi 2 milioni di tonnellate, circa l'80% in più di un anno fa, ha dichiarato Mistry. Mistry, che ha scambiato olio di palma per più di 30 anni, ne ha parlato oggi alla "Palm and Lauric Oils Conference & Exhibition" a Kuala Lumpur.

Le importazioni indiane di oli edibili e non, raggiungeranno il record di 10.9 milioni di tonnellate entro l'anno e lo stock di grassi vegetali ha raggiunto il valore di 2.77 milioni di tonnellate da Novembre 2012 al 31 Gennaio 2013, dati riportati da Bloomberg e rilasciati dall'associazione di categoria indiana "Solvent Extractors’ Association" il 14 Febbraio. A quanto pare i portavoce dell'associazione non temeno le preoccupazioni del governo indiano circa l'effetto che l'aumento dei dazi potrebbe avere sulla crescita dell'inflazione.

La notizia dovrebbe preoccupare soprattuto i produttori ed i commercianti di Indonesia e Malesia (olio di palma) e Brasile e Argentina (olio di soia) da cui provengono il 50% delle importazioni indiane dei cosiddetti "cooking oils".

Le conseguenze sul mercato dell'olio di oliva.
Sebbene Bloomberg calcoli che il consumo interno di cooking oils potrebbe salire del 6% a 17,5 milioni di tonnellate entro quest'anno, principalmente per l'aumento congiunto della popolazione e della ricchezza disponibile, riteniamo che l'effetto che tali dazi potrebbero avere sulle importazioni di olio di oliva, ancora di nicchia in India, potrebbero essere altrettanto preoccupanti.

Stando alla notizia, un litro di olio di oliva diventerebbe forse troppo costoso per le - seppur in aumento - disponibilità economiche del consumatore indiano. Abbiamo dunque effettuato una ricerca sui dati ufficiali dell'ufficio statistico sul commercio internazionale delle Nazioni Unite - la fonte più attendibile  sulla scena mondiale - disponibili per la categoria degli oli vergini in cui sono inclusi anche gli extravergini.
Dalle nostre ricerche il prezzo medio di un 1 kg di olio vergine (incluso EV) importato in India nel 2011 si attestava a 3,623 dollari USA, 3,65 per gli oli italiani (2,856 a Novembre 2012) e 3,544 per quelli spagnoli. L'incremento previsto per Settembre 2013 porterebbe questi prezzi a 4,265 dollari, 4,289 dollari e 4,165 dollari rispettivamente. Da questo scenario risulta chiaro che gli oli spagnoli arriverebbero a costare ben 12,4 centesimi di dollaro in meno, ovvero quelli italiani costerebbero il 2,99% in più.

Non solo. Il dato riguarda gli oli vergini sia sfusi che confezionati; é molto probabile, dunque, che chi commercializza olio confezionato - normalmente a prezzi più elevati - veda questa forbice allargarsi notevolmente.

Che conseguenze potrà avere l'incremento di dazi previsto? Possiamo ipotizzare un primo scenario, in cui i consumatori indiani più abbienti non cambino i loro acquisti nonostante l'aumento dei prezzi. In questo caso é possibile che gli importatori acquistino oli non italiani perché più price competive ed in grado di garantire margini superiori. 
Un secondo scenario, il peggiore, può vedere un calo generalizzato dei consumi di olio di oliva.
Di sicuro, in entrambi i casi, una buona comunicazione mirata a far scegliere il prodotto italiano e il prodotto di qualità é l'arma principale di cui il commercio di olio di oliva in India dovrebbe dotarsi.

L'argomento ha diversi risvolti, presto pubblicheremo un notro approfondimento.

Nel frattempo chiediamo ai nostri lettori di commentare la notizia e di riportare la propria esperienza.

L'Osservatorio.

venerdì 18 gennaio 2013

Attenzione alle risposte alla crisi!

Il premier nipponico Shinzo Abe ha presentato un maxi-pacchetto espansivo da 117 miliardi di dollari. Obiettivo dichiarato è di stimolare l'economia, battendo definitivamente la deflazione.

L'effetto auspicato dal Governo giapponese è di far scendere lo yen ai minimi sia sull'euro che sul dollaro. La valuta nipponica era scambiata questa mattina , 11 Gennaio 2013, a quota 89,50 sul dollaro e 1,1850 sull'euro: livelli così bassi non si vedevano da 18 mesi contro la moneta unica e da due anni e mezzo sul biglietto verde (per ulteriori informazioni a riguardo si veda l'articolo pubblicato sul Sole 24 ore.

Le dinamiche dei cambi se non saranno rapidamente oggetto di una decisa azione da parte dei governi dell' Eurozona ed in particolare della BCE potrebbero danneggiare gli esportatori europei che lavorano con il Giappone, ed in primis quelli italiani, sempre più impegnati a ricercare nuovi spazi (e profitti) nei mercati esteri (ne abbiamo appunto parlato pochi giorni fa).

Il nostro consiglio per servire il mercato giapponese sfuggendo alla morsa dei cambi, delle politiche monetarie e della crisi più in generale, lo ribadiamo, è puntare sulla qualità: il mercato giapponese è senz'altro uno dei più attenti alla qualità e fin'ora ha dimostrato di essere disponibile a pagare per livelli qualitativi più elevati. Ma la qualità, oltre che essere un concetto complesso e dalle molte sfaccettature, non è tutto. La qualità va supportata dalla reputazione, in un meccanismo reciproco di crescita e consolidamento. Ma la  costruzione ed il mantenimento della reputazione aziendale, ricordate, necessita di una strategia fatta di piani e azioni concrete, specifiche per ogni mercato, e che vanno ben oltre le attività di marketing e comunicazione aziendale.

Il perseguimento di un profilo alto di sostenibilità, ambientale, sociale ed economica, offre numerose possibilità per costruire e migliorare la reputazione aziendale e per superare, innovando, le più diffuse concezione di qualità. Traducendo, di fatto, tutto questo in vantaggio competitivo e, quindi, in utili.

Ne parleremo ancora.
 



martedì 8 gennaio 2013

Riecco le luci del mercato Giapponese



Il disastroso Tsunami del marzo 2011, secondo alcuni analisti, sembrava poter determinare un mutamento strutturale nelle dinamiche del mercato di olio d’oliva giapponese. Di fatti nei primi cinque mesi di quell’anno vi è stata una contrazione di oltre 10 punti percentuali (rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e complessivamente nell’arco dell’intero anno, seppur più lieve, è stata di circa 3 punti.





I dati dei primi 10 mesi del 2012, sembrano però evidenziare tutta un’altra storia, mostrandoci un mercato che grazie anche all’apprezzamento dello yen, si è mostrato capace di aumentare i propri consumi di olio d’oliva. Le importazioni sono cresciute di circa il 13% rispetto all’anno prima e di tale incremento hanno beneficiato pressoché tutti i paesi, ed in particolare la Tunisia (+366%), il Cile +129% e l’Australia (+88%).

Ma i due principali protagonisti del mercato giapponese sono rimasti gli olii di qualità provenienti dall’Italia (che continua a detenere una quota di mercato superiore al 55%) e dalla Spagna (35% del mercato). I produttori italiani e spagnoli hanno visto crescere le loro vendite sul mercato nipponico rispettivamente del 12,4% e del 15,6%. La qualità dell’olio d’oliva, in primis italiano, sembrerebbe dunque essere ancora capace di premiare i produttori, beneficiando del nuovo e più consapevole potere di acquisto giapponese.